Cronache tecniche della crisi

Tutte le crisi hanno all’origine un mix di eccessi e di errori, a partire dal 1929, per arrivare alle bolle speculative del 2000-2003 (tecnologia), 2007-2009 (leva creditizia) e a questa, che ha origine negli eccessi di indebitamento dei governi e nei connessi errori di presunzione nella gestione delle crisi. Non era difficile capire che sarebbe successo, quanto capire quando e come.
Mi affido a un caustico post di Oscar Giannino: http://www.chicago-blog.it/2011/08/04/un-giorno-da-imbelli/

E a tre post precedenti:
https://www.francescocaruso.net/global-outlook-strategy-3q-2011/
https://www.francescocaruso.net/la-danza-macabra-delleurodebito/
https://www.francescocaruso.net/tranquillo-weekend-di-paura/

Paziente e medico in economia non possono coincidere, specie nel lungo periodo, come non possono coincidere malattia e cura. Lo avevano notato per primi Schumpeter (tra l’altro: uno dei grandi padri della teoria dei cicli) e la Scuola Austriaca, che nell’ultimo decennio si sta prendendo la piu’ schiacciante delle rivincite sulla Scuola Keynesiana. Non ha senso curare gli effetti degli eccessi monetari con le mostruose inezioni di liquidità, puramente fittizie (= “fiat money”), degli ultimi anni (QE1, QE2 ecc.). L’oro è stato il Messaggero Silenzioso sia della grande crisi che avvolge i mercati e le economie occidentali dal 2000 in poi, sia di tutte le accelerazioni della crisi stessa. Adesso siamo davvero tutti nella terra di nessuno e in questo senso questa crisi ricorda davvero la “livella” di Totò: la partita non è più solo una faccenda ristretta ai players professionisti, ma coinvolge tutti. E non solo in Italia: chissà cosa pensano in questo momento della loro classe politica gli americani, sbeffeggiati non tanto dal declassamento di Standard & Poor’s, quanto dai commenti al vetriolo di Cina (principale – ma non unico – creditore degli USA) e India. Gli equilibri planetari sono radicalmente cambiati e, dati alla mano, i mercati meno a rischio si dimostrano essere quelli che con una deriva di arroganza intellettuale filo-occidentale ci si ostina a chiamare “emergenti”. Veniamo ai mercati. Ci sono due “billion dollar questions” aperte: la prima riguarda quello che accadrà da domani in avanti. La seconda è capire se il ribasso dell’ultima settimana sia parte di una “crisi di panico” a sé stante, stile 1987 o 1998, oppure sia l’incipit di un movimento ribassista primario. Entrambe le questioni vanno affrontate con disciplinato esame metodologico, tenendo presente che scrivo a mercati chiusi, quindi con i dati aggiornati a venerdì. Il primo dato utile per misurare la volatilità è il VIX sullo S&P. Il grafico qui sotto mostra il VIX a confronto con l’indice, dall’87 ad oggi.

Indice VIX (volatilità) e S&P500

Dalla lettura visiva si evincono tre cose importanti.

  1. Il VIX è alto ma non altissimo. Sta appena entrando in quella che definisco la “Panic Room”, cioè l’area tra 40 e 50. Sopra 50 è andato due sole volte: crash del 1987 e ribasso di Sett-Ott 2008.
  2. Le linee verticali identificano i setup precedenti del VIX, simili a quello attuale. In 6 casi su 7 il minimo fu ritestato o arrivò (poco più in basso) il mese dopo. In un caso (2008) si andò molto più giù.
  3. La parte inferiore delle Bande di Bollinger di lungo periodo è stata testata in 6 casi su 7 (unica eccezione: 1998) ed in 5 casi su 6 è coincisa con minimi o forti reazioni.
    Attualmente la banda inferiore è in area 1100-1050.

Secondo il VIX, quindi, alla chiusura di venerdì 5 Agosto il mercato è vicino a un minimo ma è poco probabile che l’abbia raggiunto. Oltre al VIX, io utilizzo tre modelli, basati su miei indicatori proprietari, per identificare – su base SETTIMANALE (lasciando quindi da parte i movimenti di 1-2 sedute) – una situazione di CLIMAX, cioè di eccesso di volatilità e/o di TENSIONE TECNICA. Queste situazioni tipicamente sono connesse a momenti di panico o di estrema euforia e a punti di svolta, specie minimi importanti. A venerdì 5 Agosto, nessuno di questi tre modelli era in posizione di minimo, sebbene due su tre fossero MOLTO VICINI. A conferma, faccio vedere il grafico settimanale dell’S&P (gli altri indici sono in posizioni non dissimili): né il Composite Momentum, né gli indicatori veloci in basso sono in posizione di minimo o di eccesso.

Conclusione: mercati azionari ancora vulnerabili sul brevissimo, ma TEMPORALMENTE NON LONTANI DA UN PUNTO DI STABILIZZAZIONE. Altro discorso sono i livelli, difficilissimi da identificare in questi contesti di altissima volatilità ed emotività. Secondo aspetto: il contesto strutturale, cioè il quadro di lungo. Non entro per adesso negli aspetti macro e congiunturali (la chiave – lo ripeto ancora – sono i consumi USA e EU) e mi limito agli aspetti tecnici e ciclici. Il dilemma che tutti si pongono è quello detto all’inizio: capire se il ribasso dell’ultima settimana sia parte di una “crisi di panico” a sé stante, stile 1987 o 1998, oppure sia l’incipitdi un movimento ribassista primario. Questa distinzione è allo stesso tempo difficilissima e fondamentale, anche se di fatto riguarda principalmente i mercati USA e il Dax, in quanto diversi mercati deboli (Italia, Spagna, Grecia, Francia, ES50, Svizzera ecc.) sono già senza alcun dubbio, e non da ora, in Bear Market (vedi tabella ciclica sotto). Il primo dato è il mio BREADTH INDICATOR, che esprime la qualità interna (trend) dei 150 titoli più trattati sui mercati occidentali. L’indicatore è ai minimi assoluti. Da un lato, questo implica che i mercati azionari sono in FORTISSIMO IPERVENDUTO INTERNO. Dall’altro, queste letture sono diverse da quelle del 1987 e del 1998. Sono piu’ simili a quelle registrate a Settembre 2001 (Twin Towers) e Marzo 2008. Entrambi questi minimi portarono a reazioni di 8-13 settimane ma furono seguiti da una seconda ondata di ribassi e da nuovi minimi. Il secondo elemento sono le letture cicliche. La tabella evidenzia una generale negatività, comune a tutte le aree su breve e medio periodo, particolarmente accentuata sul lungo termine su Europa e Italia. Di fatto non si salva niente. Dovendo posizionare sulla Curva Ciclica l’attuale situazione, allo stato attuale non esiterei dal punto di vista metodologico a identificarla come fase culminante (selling climax) della prima downleg di un Bear Market ciclico, aggravato dall’appartenenza alla fase “invernale” di un Bear Market secolare.

L’alternativa (residuale) è che questo movimento sia un D-E molto profondo. L’analisi delle forze relative settoriali indica – o meglio conferma – uno scenario tipicamente difensivo e di grossa crisi dei settori finanziari. Molto piu’ uno scenario da Double Dip che da “rallentamento di metà ciclo”.

 

 

 

Rinvio al proposito alla tavola riepilogativa di Scenario pubblicata a inizio Luglio che trovate qui di seguito.

Termino con l’Italia. Il grafico seguente evidenzia come il FTSE MIB negli ultimi 2+ anni si sia mosso in “fasce” di ampiezza costante. La perforazione al ribasso di 18000 lo ha portato immediatamente al target di 15500.

Il sostegno successivo è tra 13500 e i minimi del 2009. Come si vede dagli indicatori, nemmeno qui si riscontra ipervenduto. Su due mercati forse in questo momento ancora più sensibili e importanti delle azioni – bonds e valute – pendono incognite enormi, tra cui l’azione calmieratrice ma per certi versi falsante delle banche centrali. Per il momento mi limito a suggerire di concentrarsi sui livelli mensili del modello, specie su Eur/Usd, Usd/Yen e Dollar Index. Una caduta incontrollata del dollaro è forse, in questo momento, il vero incubo non dichiarato delle banche centrali. In quel caso l’oro – già fortissimo di suo – prenderebbe davvero il volo. Altrettanto vale per i bonds. Sia i Bund tedeschi che i T-Bond Usa iniziano questa settimana ai massimi storici (= rendimenti ai minimi). In questo momento, insieme ai governativi di eccellenza la parte migliore del mercato obbligazionario sono i corporate. Ma un evento come il declassamento USA (contemporaneo alla crisi di Italia e Spagna) rende qualunque ipotesi di lavoro fittizia. In situazioni come queste, che si presentano sui mercati, in forma così strutturata, coerente e coesa come rarissime volte nella storia (una specie di “tempesta perfetta”), l’errore è l’usare metri di valutazione standard. Come già suggerito otto giorni fa, fino a prova contraria, anche a costo di rischiare di perdere opportunità di breve, i portafogli dovrebbero come prima cosa essere messi in sicurezza, cioè – ragionando non come un analista macro o tecnico o fondamentale ma come un RISK MANAGER – proteggendo le posizioni deboli o passando su una posizione SAFE, cioè tutelativa dello stato patrimoniale del portafoglio, fino a maggiore chiarezza. Termino dicendo – senza alcuna retorica – che mi auguro che si esca al più presto da questa situazione, che mi sembra complessivamente meno controllabile ogni giorno che passa.

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Cronache tecniche della crisi ultima modifica: 2011-08-07T23:22:52+00:00 da Francesco Caruso