La danza macabra dell’Eurodebito

L’indice italiano dal 1987 ad oggi. La peggior performance fra i mercati evoluti. Per ritornare sui massimi del 2000 e del 2007, l’indice dovrebbe guadagnare circa il 15% all’anno per i prossimi 15 anni.

 

Può un analista, per di più “tecnico”, aggiungere qualcosa a quanto detto sulla crisi europea del debito in questi giorni da menti – lo speriamo per tutti noi – eccelse e da chi conosce i numeri molto, molto più a fondo? Certamente no. Però può provare a far vedere la situazione da un’altra prospettiva. Immaginiamo un’azienda. Questa azienda per molti anni ha avuto la fiducia dei creditori, che le hanno concesso credito e credibilità nonostante il management operasse più nella direzione del proprio welfare personale che del welfare societario. Il motivo di questa fiducia è che l’azienda è importante, ben capitalizzata e l’azionista è ricco. Ma anche i creditori hanno le loro priorità. Arriva un punto – e non arriva di colpo, ma gradualmente – in cui, per un insieme di motivi, i creditori diventano sempre più sensibili al rischio dei propri debitori e avvisano l’azienda (che è un loro importante debitore) che deve migliorare i propri conti e risanare l’andamento se vuole continuare ad avere il credito alle stesse condizioni. A un dato momento, alle parole si aggiungono i fatti e i creditori cominciano – gradualmente – ad alzare i tassi che applicano all’azienda. I conti dell’azienda peggiorano. I tagli alle spese non bastano più e il business globale – a parte alcune sacche che continuano ad andare bene – rallenta. I margini calano, anche perché sono gradualmente soffocati dall’aumento dei costi degli interessi sul debito.Giunti a questo punto, in un’azienda, in un mercato efficiente, il direttore generale va dagli azionisti e dice: “Cari signori, la situazione è questa. I numeri sono questi. Se continuiamo così andiamo verso il default finanziario. A questo punto dovete decidere: la prima opzione è ricapitalizzare l’azienda, ripristinando la fiducia dei nostri creditori che ci abbasseranno i tassi, permettendoci di migliorare i conti e di liberare risorse per lo sviluppo; la seconda opzione è liquidarla e portare i libri in tribunale. Scegliete voi.”

In un’azienda, gli azionisti fanno due conti e decidono. Se il costo (e il rischio) di una ricapitalizzazione è superiore a quanto possono portare a casa dalla liquidazione, l’azienda chiude. Se il business è ancora valido, l’azienda è ricca e il rischio reputazionale conta qualcosa, gli azionisti decidono che il gioco vale la candela e ricapitalizzano. L’azienda va avanti e anzi – probabilmente – gli azionisti recuperano in fretta quanto speso per la ricapitalizzazione, grazie al miglioramento di conti e credibilità. Ovviamente il processo è stato descritto in modo semplificato: ma è molto vicino alla realtà.

Immaginiamo a questo punto che l’azienda sia uno stato, magari uno stato europeo. Il direttore generale è il governo. Gli azionisti sono i cittadini. I creditori sono i possessori del debito pubblico. La ricapitalizzazione è in questo caso una manovra MOLTO FORTE E MOLTO RAPIDA, un prelievo di ricchezza che lo stato fa sui cittadini-azionisti, allo scopo di ripianare il debito in eccesso, di riportare fiducia nei creditori e di alzare quindi la credibilità (= il rating) dell’azienda-stato e di abbassare la spesa sul debito (= i tassi di interesse). Ci possono essere casi in cui la ricchezza complessiva del popolo-azionista NON E’ SUFFICIENTE  a ripianare i conti dell’azienda-stato. In questo caso, l’ipotesi di una ricapitalizzazione non è perseguibile e si va verso il default. Sembra essere il caso della Grecia, e non solo. Ci sono altri casi in cui una ricapitalizzazione è non solo opportuna, ma è l’unica strada perseguibile per non mettere non solo l’azienda-stato, ma anche gli azionisti-cittadini e gli stessi creditori-detentori del debito in una situazione pesantissima. Sembra essere il caso di Spagna e soprattutto dell’Italia. Non ho idea di quanto avanti siamo in questo “work in progress” della crisi del debito: se si ascoltano le parole di Tremonti, che a mio avviso – e la mia non è un’opinione “politica” – ha dimostrato una credibilità e una lungimiranza superiori a quelle di tutto ciò che lo circonda, agenzie di rating comprese, siamo in uno stadio pericolosamente avanzato (“Titanic”). Di fatto, i mercati stanno incorporando la possibilità che entro i prossimi 5 anni l’Italia rimborsi il debito pubblico al 50%. Hanno ragione? L’Italia si è già trovata in una situazione per molti versi simile a questa: fu 19 anni fa, nel 1992. In quell’estate, con gli altri mercati (azionari e obbligazionari) in una situazione di normalità, la borsa italiana cominciò a crollare, staccandosi in negativo dalle altre, e i tassi a salire all’impazzata. Ci fu una prima crisi in Luglio, una pausa in Agosto e – da ferragosto in poi – una seconda ondata di crisi. La seconda ondata fu letale e portò alla formazione di una unità di crisi che sfociò – in Settembre – in un lungo weekend in cui, tra il primo e il secondo tempo delle partite, Amato annunciò che il lunedì ci sarebbe stato un prelievo sui conti correnti. Non posso credere che qualcuno degli attuali commentatori economici non si ricordi: moltissima gente – tutti gli over 40 – si ricordano di sicuro. Io non sono certo un economista: o meglio, sono un “economista pentito” che crede solo ai mercati. Credo però che parlare di “speculazione” per quanto è successo nelle ultime settimane sia veramente un atto di malafede o di assoluta ignoranza dei meccanismi dei mercati. La verità è che chi aveva i titoli italiani in portafoglio – parlo delle istituzioni – dopo il peggioramento del rating NON POTEVA FARE ALTRO CHE RIBILANCIARE LE POSIZIONI, quindi vendere. Molto semplicemente, domanda e offerta si sono incontrate – grazie al peggioramento delle prospettive del debito italiano – su livelli progressivamente più bassi. E i prezzi sono scesi. In tutto questo, la “speculazione” (dal latino: speculor = osservo attentamente, nessuna accezione negativa) c’entra poco o nulla: al massimo si sarà accodata, avrà assecondato il movimento. Ma non lo ha innescato. Magari la speculazione arriverà più avanti: ma incolparla ora è fuori luogo.

La seconda cosa che vorrei dire è che a mio avviso – anche se in proporzioni diverse – SIAMO TUTTI CORRESPONSABILI PER QUANTO STA ACCADENDO. Quindi, qualunque sia l’esito di questa situazione, nessuno avrà il diritto di scagliare la prima pietra. La responsabilità collettiva è nell’aver permesso che si arrivasse a questo punto, direttamente o indirettamente. Attraverso tenori di vita esagerati rispetto al proprio reddito. Attraverso la compiacenza verso la classe politica e il disinteresse per la res publica. Attraverso la mala educacion di due generazioni, lasciate allo sbando etico e alla mercé dei messaggi dei media. Elenco lunghissimo: mi basta vedere quello che ho sbagliato io. Errori e considerazioni a parte, la mia personale opinione si riassume in cinque punti: (1) Quello  che è stato fatto non basta: ci saranno altri attacchi. L’Italia è parte dell’Europa ed è il debito europeo a essere sotto attacco, o almeno la parte debole (i PIIGS). (2) Il Nordeuropa (parlo delle persone ancora più che dei governi) alla fine si ribellerà e si rifiuterà di caricarsi in bilancio gli errori di altre nazioni. (3) La Grecia è già tecnicamente fallita ma l’Italia non fallirà: è troppo importante, ma soprattutto è troppo ricca. E gli italiani, anche se  fossero messi all’angolo, preferirebbero il danno lieve di un prelievo una tantum al danno grave di essere sbattuti – almeno finanziariamente – fuori dall’Europa. (4) Nei momenti più acuti di crisi – non ora – i BTP lunghi saranno una grande opportunità per chi penserà più al “conto economico” (= flusso cedolare) che non allo “stato patrimoniale” (= fluttuazioni di prezzo) del proprio investimento. (5) Una volta liberata da questi fardelli, se come tutti speriamo l’Italia ripartirà, la borsa italiana (che è la peggiore fra le grandi e la più vicina ai minimi del 2009) potrà rinascere dalle proprie ceneri, come fece nel 1992, quando partì per la prima fase di un Bull Market che la portò – negli otto anni successivi – da 7’500 a quasi 50’000. Una nuova Età dell’Oro, che risanerebbe oltre un decennio di sottoperformance e di delusioni.

Nota: sono debitore – per il titolo di questo pezzo – a Oscar Giannino (“La versione di Oscar”, Radio24, 9.00-10.00)

 

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La danza macabra dell’Eurodebito ultima modifica: 2011-07-16T12:29:21+00:00 da Francesco Caruso