L’uomo nell’ombra (****1/2)

Come non vedere un parallelo tra le opere e la vita enigmatica di Roman Polanski? Esistono autori per i quali la propria vita personale è motivo ispiratore in completa simbiosi con l’universo raccontato dalle proprie opere, dove la narrazione si confonde e supera la vicenda del sé attraverso la propria arte. Polanski è così: ultimo esempio ne è questo film, dove la vicenda vede come protagonista un “ghost writer” (McGregor) alle prese con la biografia di un ex primo ministro britannico (Brosnan-Blair?), assoggettato al potere USA tanto da doverne accettare e condividere anche scelte sbagliate (Iraq?). C’è Polanski in entrambi i personaggi, il ministro e la sua ombra, entrambi soccombenti, entrambi alle prese con destini e vicende più grandi di loro, da sempre la tematica centrale dei film di Roman (Frantic, Chinatown, il Pianista, lo stesso Oliver Twist), solo che stavolta l’usuale sguardo ironico e beffardo è inesistente e la realtà che ne emerge è cupa, fredda ed è la sola costante del mondo di Polanski che rimane. Il film è narrato in tutte le tonalità del grigio, morale e materiale, con richiami (la villa e gli interni) a Wright e Moore, gli architetti maestri della fusione tra natura ed artificio. Il dilemma di fondo – piu’ che “morale” vera e propria – è che non c’è scampo al proprio destino, specie se lo stesso è pilotato da umani (“persone” è termine troppo positivo) falsi e senza scrupoli. “L’uomo nell’ombra” è a metà strada tra lucida vendetta (contro gli USA, per la recente faccenda delle accuse di violenza sessuale) e testamento cine-spirituale: anche se tutti dobbiamo sperare di no, perchè sarebbe bello godere ancora della maestria di Polanski nel mischiare le carte tra grottesco, ironico e amaro, in quel gioco di incastri che nobilita un grande film come questo. Ottimo Ewan McGregor – contenuto e sotto le righe – ma superbo Pierce Brosnan. Siamo in prossimità del capolavoro: assolutamente da vedere.
L’uomo nell’ombra (****1/2) ultima modifica: 2010-04-17T08:45:12+00:00 da Francesco Caruso