Il fuoco greco, lo spread del BTP e l’oro

Il fuoco greco era un’arma segreta, una mistura speciale usata nel tardo Impero Romano, talmente segreta che vigeva la pena di morte per chi ne avesse rivelato la formula. La sua caratteristica era che – invece di spegnerlo – l’acqua lo ravvivava. Questo rendeva il fuoco greco letale e temutissimo, esattamente come oggi ogni rialzo dello spread e, in generale, ogni tensione sui debiti, che per essere risanata richiede ancora più debiti e ancora più sforzi (i nostri!).

Per comprendere perché siamo arrivati sin qui, bisogna fare qualche passo indietro. Utilizzo – allo scopo – un articolo di Gerardo Coco, tratto da www.chicago-blog.it dal titolo “Il denaro a nudo”.

“Gli ultimi quarant’anni anni sono storia di crisi finanziarie succedutesi con sempre maggiore frequenza ed intensità, iniziate dopo il crollo dell’ordine monetario stabilito a Bretton Wood alla fine della seconda guerra mondiale. Quest’ordine era basato sulla convertibilità del dollaro in oro e nelle valute dei maggiori paesi industriali secondo cambi fissi. Il sistema si disintegrò per il deliberato default degli Stati Uniti. Quando i paesi partner, allertati dalla progressiva svalutazione della valuta americana dovuta al crescente indebitamento ne chiesero la conversione in oro, gli USA risolsero unilateralmente l’accordo dichiarando il dollaro inconvertibile. Da un “sabotaggio” come questo non poteva svilupparsi un mondo sano. La fine del sistema di Bretton Woods spegneva per sempre la stella polare dell’attività finanziaria e creditizia mondiale e da quel momento le principali valute svincolate dalla disciplina del sistema aureo cominciarono a circolare come una muta di cani sciolti creando il marasma degli squilibri globali, della spesa incontrollata, delle perturbazioni, svalutazioni e del debito esponenziale.
Si pensava che le  politiche monetarie potessero regolamentare questo caos senza rendersi conto che il disordine finanziario ed economico era proprio immanente alla “moneta manovrata” che aveva cambiato la natura stessa del denaro: da attivo patrimoniale a passività finanziaria. Questa trasmutazione è avvenuta parallelamente a quella delle banche centrali, da guardiani dei sistemi monetari a  “tesorieri” dei governi per soddisfarne le illimitate esigenze di credito.

Il denaro, ieri
Il denaro autentico, la moneta, è prima di tutto un mezzo di scambio che serve a fare circolare la ricchezza, non a crearla. Prodotti e servizi si ottengono attraverso la sua intermediazione. Il denaro è una specie di ordine di pagamento con cui ciascuno ha il diritto di ricevere quei beni che gli necessitano in corrispettivo dei beni e servizi ceduti o delle prestazioni prestate. Dovendo misurare i valori dei beni, il denaro stesso deve possedere valore per fungere da ricchezza permutabile generica da cedere in cambio di ricchezza specifica nella forma di beni e servizi. Solo nel regime aureo il denaro svolge questa funzione di bene più fungibile in assoluto cioè di moneta. Questo tuttavia non significa che nell’economia debbano circolare pezzi d’oro coniati: sono sufficienti titoli rappresentativi che fungano da moneta, come le  banconote, strumenti di credito convertibili a richiesta. In tal modo si risparmia sui costi di produzione del metallo e su altri inconvenienti. Aumentare l’emissione di banconote significava aumentare il credito come oggi avviene con la creazione dei depositi bancari. Ma credito e denaro, sebbene oggi li identifichiamo, non sono la stessa cosa. Il credito e  per contrapposto il debito, sono promesse di pagamento rappresentando, rispettivamente il diritto o l’obbligo a prestazioni future. Solo  il denaro, in quanto moneta  è il mezzo di pagamento definitivo. Dunque, tanto l’aumento delle banconote quanto quello dei depositi aumentava crediti e debiti, non denaro. Chi infatti acquistava un bene tramite le banconote come mezzo di pagamento, trasferiva al venditore un credito, non moneta. Solo in senso giuridico la banconota e il deposito erano mezzi di pagamento o moneta legale come lo sono oggi. Ma lo scambio, in senso economico, si “chiudeva” e ogni debito si estingueva, solo nel momento in cui la banconota veniva rimborsata in metallo: si cedeva cioè una promessa di pagamento contro un equivalente di ricchezza tangibile.
Questo è, grosso modo il meccanismo del denaro vigente nel passato che in un certo senso è sopravvissuto in Bretton Wood, con la differenza che i pagamenti in oro potevano avvenire solo tra nazioni e non tra individui (ciò che conta non è che circoli oro ma che la legge della circolazione cartacea obbedisca a quella aurea). E’ importante notare che il ruolo essenziale del denaro quale mezzo di pagamento definitivo era riflesso contabilmente nel bilancio delle banche centrali. La moneta era posta all’attivo per garantire le promesse di pagamento del passivo ossia le banconote in circolazione, rappresentanti il diritto di conversione che il pubblico aveva la facoltà di esercitare. Il denaro è un attivo che copre i rischi di una circolazione incontrollata e incorpora pertanto la funzione di deposito di valore, come si legge ancora (e stranamente) anche nei testi moderni di economia. La banca poteva emettere nuovo denaro in circolazione solo acquistando oro ma per tenere il bilancio in equilibrio doveva cedere qualche altro attivo, come il privato, che, per acquistare un bene deve, per forza, privarsi di un altro bene cioè del contante.

Il denaro, oggi
In un regime di inconvertibilità avviene l’opposto, il denaro non è nell’attivo del bilancio ma nel passivo rappresentato solo dalle banconote che sono sempre un debito della banca ed un credito per il pubblico. Ma questo credito anziché sussistere quale diritto alla sua conversione in moneta, che non esiste più all’attivo, sussiste quale diritto generico ad un potere d’acquisto sui beni e servizi della collettività (le riserve auree non essendo destinate alla circolazione non costituiscono moneta legale). Allora la prima domanda da porsi è: quali poste dell’attivo della banca centrale garantiscono il denaro in circolazione e il suo potere d’acquisto? E su quale base il denaro viene emesso? Per scoprirlo basta scorrere, ad esempio, il bilancio della Banca Centrale Europea e constatare che le poste dell’attivo sono rappresentate da debiti di terzi, come prestiti ai paesi della unione monetaria, finanziamenti e rifinanziamenti al settore bancario, investimenti in titoli di varia natura compresi quelli del debito immobiliare americano. In breve, il denaro è garantito solo da passività o promesse di pagamento di debiti. In generale le banche centrali creano denaro comprando con regolarità i titoli di debito statali i quali, spendendo il ricavato delle emissioni per i loro programmi di espansione e di welfare, iniettano nel sistema economico nuova liquidità e tutto questo processo si chiama monetizzazione del debito. Comprando i titoli, le banche centrali non attingono a fondi esistenti, esse hanno lo straordinario potere di  “coniare” all’istante il denaro a favore dello stato. A differenza dei privati, nessuno dei due fa sacrifici per procuraselo. Qui svanisce la funzione del denaro quale mezzo di scambio: in questo schema infatti nessuna ricchezza viene intermediata, trasferita o permutata. Aumenta, rispetto a tutti gli altri, solo la quantità dei diritti di acquisto che lo stato può esercitare nell’economia, senza prima averle ceduto nulla in cambio. Il risultato è la diluizione del potere d’acquisto della collettività cioè l’inflazione. La seconda domanda è: se la fonte del denaro e del potere d’acquisto è rappresentata dall’attivo della banca centrale, quanto vale questo attivo? E’ facile rispondere: dipende dalla solvibilità dei debitori. Ma la maggior parte dei debitori, governi e sistema bancario sono, come sappiamo, soggetti tecnicamente insolventi o quasi. Se il denaro in circolazione è garantito dal debito di soggetti insolventi ne consegue che anche gli istituti di emissione, non potendo riscuotere i crediti, sono insolventi. Pertanto la banca centrale non può neppure esercitare il ruolo originario per cui era stata creata: essere la banca delle banche e salvatore di ultima istanza del sistema monetario.
La fragilità di questo sistema del denaro è evidente ma è anche evidente che il suo rischio non può non ricadere sul vero creditore finale del sistema economico, cioè quello che dà più credito di quanto ne riceva: il pubblico. L’unico vero prestatore di ultima istanza resta sempre la collettività dei contribuenti cui, lo Stato, il debitore finale dell’economia, può sottrarre coercitivamente il denaro attraverso il sistema fiscale.

Il lungo addio
I due sistemi del denaro il primo basato sul denaro come attivo e il secondo basato sul denaro come passivo hanno polarità opposte. Nel primo il denaro è un bene reale di valore stabile sostenuto da una domanda internazionale costante ed essendo l’unico attivo esistente a non rappresentare contemporaneamente la passività di qualcun altro costituisce una riserva di valore. Nel secondo caso la fonte del denaro è costituita dalle passività dello stato che crea il debito ed invita la banca centrale a creare il denaro per acquistarlo. La  perdita delle funzioni per le quali era stato inventato, quella di riserva di valore e quella di mezzo di pagamento definitivo, ha “svirilizzato” il denaro. Ormai denaro e debito costituiscono un tutt’uno inscindibile. La crescita perenne e l’inestinguibilità del debito sono implicite nel sistema stesso, altrimenti il default sarebbe assicurato. Infatti, nell’economia il debito deve aumentare almeno nella misura necessaria per pagare gli interessi del debito pendente. Ma questo è l’ipotesi teorica perché lo stato può funzionare solo con nuovo deficit cioè aumentando il debito. Questo spiega perché gli interessi sono artificialmente tenuti bassi: non servono a stimolare l’economia ma ad abbassare il debito. Mentre una volta l’apparato creditizio serviva a trasferire risparmio, oggi serve a trasferire debito. Nel passato poggiava su una solida base di ricchezza concreta di cui il denaro era il mezzo di trasferimento. La lievitazione del debito l’ha separata da questo piano e l’ha sospesa nel vuoto senza più riferimento con risparmio o con attivi tangibili. In questo contesto nessun intervento, nessun stimolo, nessun salvataggio, nessuna politica può funzionare per far migliorare l’andamento dell’economia. Essa è stata ipotecata a copertura del debito dello stato. Nessun progresso, nessuna espansione e prosperità sono pertanto possibili. Possiamo assistere solo a convulsioni, tensioni perturbazioni, stagnazione e infine miseria. Le unità monetarie, che passano di mano in mano rappresentano atomi di debito prodotti da un processo totalmente incontrollato ed inarrestabile. Come andrà a finire? Appunto, come una reazione nucleare incontrollata.” (Gerardo Coco)

Più chiaro di così. Veniamo all’oggi. Venerdì di euforia, borse che salgono (con volumi bassissimi) e spread che crolla. Tutto perfetto. Purtroppo ci sono tre elementi disturbanti. Il primo sono gli spread sui titoli a 2 e 5 anni, ampiamente ancora sopra 500bp, quindi ampiamente sopra lo spread dei 10 anni. Il secondo sono i corporate bancari, che in una giornata di euforia generale non hanno mostrato il benché minimo segno di vita. Questi due elementi – assolutamente concreti – dimostrano che le tensioni dei giorni scorsi sono ancora completamente presenti e radicate nei mercati, che difatti non prezzano alcun cambiamento di scenario. La chiusura degli spread sul decennale è unicamente dovuta agli acquisti politici della BCE, che ha voluto mandare un doppio segnale rassicurante, di presenza sui mercati e di diffusione mediatica. E stop. Personalmente, crederò che le tensioni sono in VERA diminuzione solo quando vedrò la curva dello spread tornare a inclinarsi, con gli spread a 2 e 5 anni considerevolmente più bassi di quello a 10 anni, e con i prezzi dei corporate bancari che supereranno – e, credetemi, ce ne vuole – i massimi registrati due settimane fa, possibilmente con un ritorno di volumi decenti su un mercato ancora sottilissimo. Il terzo elemento disturbante è l’oro, di cui parla anche Fugnoli nella sua ultima nota “Ellis Island“. Aggiungerei, all’analisi che fa Fugnoli, un elemento assolutamente centrale e oggettivo che è il vero elemento distintivo dell’oro: il suo ruolo di VALVOLA DI DEPRESSURIZZAZIONE del sistema finanziario globale. Questo ruolo è perfettamente visibile nel lungo periodo attraverso lo spread tra S&P500 – l’indice che più di ogni altro rappresenta gli asset reali globali per eccellenza, si pensi alle multinazionali – e oro.

Oro, S&P e spread dal 1932

I dati mostrano come, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’oro abbia una collocazione anticiclica TRASVERSALE, indipendente quindi da inflazione, deflazione, recessione, sviluppo. La sua unica variabile è la correlazione diretta con il grado e con il livello delle problematiche del sistema finanziario. E questo è ancora più comprensibile dopo la lettura dell’articolo di Coco citato sopra. Quindi, per farla breve: fino a che lo spread tra S&P e Oro (= semplicemente a S&P in USD diviso Oro in USD, quindi al momento 1257:1795=0,7) si manterrà sotto 0.8-0.9, non vi saranno segni di ARRESTO STRUTTURALE della crisi in atto. Tenete presente che, mentre gli investitori orientali hanno una cultura dell’oro totalmente diversa dalla nostra e ne fanno una polizza assicurativa, gli occidentali nei loro portafogli ne hanno tra pochissimo e niente. Che bolla è quella di un asset che è assente dai grandi e piccoli portafogli? Una bolla deriva dall’ECCESSO DI PRESENZA di un asset nei portafogli, non da un generico ECCESSO DI VALORE, che è solo figlio del primo. Una bolla per esistere deve FAR MALE A TANTI, quando scoppia. Se l’oro si dimezzasse, a chi farebbe finanziariamente male ora come ora? A pochissimi e per molto poco. Riflettete quindi su questi due concetti: oro come valvola di depressurizzazione e oro ancora non in bolla.

Torno alla situazione attuale. Gli eventi degli ultimi giorni hanno COMPLETAMENTE DEVIATO L’OSSERVAZIONE da quello che è in realtà il problema originario, che è assolutamente integro: il default greco. Come ampiamente spiegato in “BAD MOON RISING“, la Grecia è caduta: che si parli di default o di un “haircut” del suo impossibile carico debitorio rispetto al PIL è solo una questione tecnica. La seconda tessera del domino non è l’Italia ma sono alcune banche europee che, ovviamente, a causa della leva rischierebbero una forte decapitalizzazione una volta costrette a riconoscere le proprie perdite. Questa evoluzione, difficile ma non impossibile allo stato attuale, può essere gestita: ma se scappasse di mano come nel caso Lehman, lascerebbe i governi con l’unica amara opzione di tirare fuori dai guai le banche con i soldi dei cittadini, via tasse più alte e austerità. Al di là di tutto, l’idea che un fondo salvastati possa sfruttare ancora di più il meccanismo della leva finanziaria per risolvere questo gigantesco problema di sovraindebitamento è, a mio modo di vedere, vicina all’assurdo e sintomo, non causa, del livello di crisi e confusione mentale attuale. Se fosse cosi’ facile, non saremmo dove siamo: MA SOPRATTUTTO NON SAREBBERO DOVE SONO GLI SPREAD A 2 E 5 ANNI E I TITOLI CORPORATE BANCARI. Se banche e debitori poi accetteranno l’haircut greco, chiunque – e qui arriva la questione Italia – sotto l’attacco della speculazione si sentirà in diritto di fare lo stesso per il proprio debito. Questa dinamica a “palla di neve” o “effetto domino” in ultima analisi rischia di portare alla tessera finale di una crisi dell’Euro, per il semplice fatto che l’economia tedesca non è abbastanza grande da potersi prendere finanziariamente sulle spalle tutto il problema e che la pazienza dei tedeschi non è infinita, come concretamente provato dalle sempre più frequenti e “accettate” discussioni sulla possibile fuoriuscita di alcuni paesi dall’Euro, prospettate ufficialmente come “possibilità allo studio” anche da parte della stessa Merkel.

Il problema fondamentale, di cui si parla troppo poco, è che in tutte le altri recessioni contemporanee esisteva una leva – l’abbassamento dei tassi – per far ripartire il circolo dei consumi. Come prova – anche qui oltre ogni ragionevole dubbio – il caso americano post-Lehman, i tassi a zero non sono serviti a far ripartire un bel niente e la Consumer Confidence è ai minimi. Questo significa, in soldoni, che il malato non reagisce più in quanto la medicina-liquidità non gli entra più in circolo.

Consumer Confidence USA

In questo stato di cose, ogni euforia sembra – almeno dal punto di vista finanziario – fuori luogo. Nella migliore delle ipotesi, come da pochi compreso fin dall’inizio della crisi (vedi “LA DANZA MACABRA DELL’EURODEBITO” del 16 Luglio), ci aspetta una pesantissima patrimoniale (…che colpirà cosa? Cose semplici, controllabili dallo stato e/o dalle banche come sostituti di imposta, anche perché TEMPUS FUGIT e se non la fanno SUBITO, lo spread se ne vola via). Nella peggiore, in caso di ritardi e tentennamenti saranno i mercati a spiegare alla classe politica l’estrema gravità della situazione.

L’unica soluzione plausibile per evitare il fuoco greco, cioè una ripetizione delle crisi Lehman e Grecia con effetti incontrollabili, è quella che si sta cercando di mettere in piedi ora: un governo tecnico con amplissimi poteri, che lavori fianco a fianco – che dico: in simbiosi – con BCE, UE e FMI per cercare di trovare l’unica chiave del mazzo che apre la porta della speranza, un balance accuratissimo tra controllo del debito e sviluppo (là dove hanno fallito i greci), per evitare il peggio. Anche in questo caso, si badi, il malato avrà bisogno di molti mesi per tornare a camminare con le proprie gambe.

Nel frattempo, è cosa buona lasciare che siano i mercati a fornire i responsi operativi: e non basta certo qualche seduta di segno positivo per generare un cambio di scenario che vede al momento ancora strafavorite le borse USA su quelle europee. Tra l’altro, da fine Novembre in avanti i segnali di RIENTRO STRATEGICO SULLE BORSE del mio Investitore Disciplinato, che era uscito dall’equity tra Maggio e Luglio, si avvicineranno tantissimo: inutile anticiparli.

Il fuoco greco, lo spread del BTP e l’oro ultima modifica: 2011-11-13T11:21:57+00:00 da Francesco Caruso