Film – “Boyhood” (*****1/2)

Sicuro candidato e probabile vincitore del prossimo Oscar come miglior film e miglior regia (ma almeno un altro paio di candidature sono quasi inevitabili: sceneggiatura e attore protagonista), “Boyhood” porta al cinema qualcosa che in questo modo non si era mai visto prima: l’epica del grande romanzo americano trasposta in film. Il progetto stesso del regista, Richard Linklater, è talmente anomalo e controcorrente – specie in tempi in cui tutto (ideali compresi) si consuma e si brucia senza pietà – da meritare: filmare un pezzo fondamentale della vita di un ragazzo normale di una famiglia media americana, il periodo tra gli 8 e i 20 anni, attraverso un percorso collettivo – fatto sempre insieme agli stessi attori – che inizia nel 2002 e si allunga fino ad oggi. Così il ragazzino della prima scena (Ellar Coltrane, strepitoso) che guarda le nuvole con gli occhi chiari e intelligenti è lo stesso dell’ultima scena, che con lo stesso sguardo guarda la sua futura ragazza. Ethan Hawke e Patricia Arquette – padre e madre separati dall’inizio del film – crescono anche loro, e cambiano: più dentro che fuori Hawke, più fuori che dentro la Arquette. Lo spettatore vede e vive con loro tutto: i loro errori (le pessime scelte di lei in materia di uomini, l’eterna adolescenza di lui), le loro debolezze, il loro modo diverso di amare i figli, il lento venir meno ai propri ideali e l’improvviso accorgersi dello scorrere del tempo. Ed è questo forse il messaggio forte, profondo di questo film: tu puoi essere chi vuoi, ma se sei una persona vera non sono i social media a cui appartieni a definirti, ma i tuoi ideali profondi, anche se è difficile portarli avanti e se sono condivisi da pochi.

La definizione di capolavoro, per un film come per qualunque altra forma d’arte, non può essere univoca ed è inevitabilmente soggettiva, almeno fino a quando non è largamente condivisa. Nel mio modo di pensare a un film come a un grande film o a un capolavoro, la definizione emerge semplice: un film che non può non essere visto. “Boyhood” è certamente questo: un film che non può non essere visto, un percorso delicato e per certi versi minimalista, un libro visivo da leggere e rileggere, dove la trama è la vita stessa, con i suoi cambiamenti, i suoi percorsi, i suoi inciampi e le sue vittorie. Siccome poi il film è anche fatto di pause, intervallate da splendide canzoni (colonna sonora super per gli amanti del rock anglosassone) e dialoghi a volte normali, a volte taglienti come una spada da Samurai, lo spettatore ha il tempo per riflettere su ciò che vede.

In un film che trova la propria forza nell’assenza di chiavi di lettura preconfezionate, la sintesi migliore è quella della scena finale: forse, invece di cercare di cogliere l’attimo, dovremmo avere la pazienza di aspettare che sia l’attimo a cogliere noi. E farci trovare pronti.

Grandissimo film, imperdibile e godibile da chiunque ami il cinema, indipendentemente dall’età.

* = INGUARDABILE
** = MEDIOCRE
*** = BUONO
**** = DA VEDERE
***** = GRANDE FILM
****** = CAPOLAVORO ASSOLUTO
Film – “Boyhood” (*****1/2) ultima modifica: 2014-11-03T13:48:53+00:00 da Francesco Caruso