Shutter Island (*** 1/2)

Basta uno sguardo alla filmografia di Scorsese per osservare come il grandissimo regista italoamericano attraversi punte particolarmente intense nei suoi lunghi cicli di introspezione. “Taxi Driver”, “L’Ultima Tentazione di Cristo”, lo stesso “The Departed” sono esempi altissimi di cinema che offre una visione realistica, strutturata e allo stesso tempo disincantata dell’uomo e dei suoi limiti, valicabili solo da una pietas che si astenga da ogni giudizio. “Shutter Island” si pone in questo contesto: l’orrore vissuto dal protagonista in due momenti-chiave della sua esistenza (non si può rivelare nulla della trama: lascio a chi vedrà il film la sorpresa…) lo porta a un intreccio tra realtà e fuga dalla stessa talmente strutturato – ma anche talmente motivato – da portare gli stessi inquietanti dottori dell’isola a ruoli profondamente ambigui (ma con quale fine? la guarigione del malato o piuttosto la validazione del metodo di cura “innovativo” su cui si basa l’isola stessa?). Lungo tutto il film – evidente – vi è il richiamo, altissimo, a Hitchcock. Scorsese lo cita di continuo: nelle movenze dei protagonisti, nell’uso della musica e soprattutto della fotografia desaturata. In questa struttura – rigorosamente e intellettualmente formale – e in questo richiamo al cinema classico stanno tuttavia, a mio avviso, anche i limiti invalicabili del film: un esercizio tecnicamente perfetto – supportato da interpretazioni notevoli anche se non indimenticabili – ma fondamentalmente algido. Questa – si badi – è un’osservazione che vale nel contesto di un regista comunque incapace di fare film che siano meno che belli: “Shutter Island” è assolutamente “worth the money”, vale il biglietto, ma per qualche strano meccanismo almeno a me non è rimasto dentro. Sullo stesso tema preferisco un film emozionante di qualche mese fa, “Brothers”. Bello senz’anima.
Shutter Island (*** 1/2) ultima modifica: 2010-03-22T20:56:36+00:00 da Francesco Caruso